20 Set 2022

Cos’è una partnership?

Se mi si chiedesse qual è la frase più usata nel mondo del lavoro in questo momento, il leitmotiv, la parola di moda che tutti usano e che nessuno ha idea di che significato intrinseco abbia, sceglierei senza dubbio, “azienda partner”.

Ci sono fior di commerciali che si riempiono la bocca presentandosi come “azienda partner” o peggio ancora parlando di “legame di partnership”, nonostante creda fortemente che un commerciale sia una persona che deve andare ad esporre un servizio e non cercare di portare un guadagno a casa senza avere altro che un pugno di mosche che vuole vendere, invece, come la soluzione di ogni male.

La frase “riesco a vendere i ghiaccioli al polo nord” descrive quanto sia diventato pieno di idiozia il mondo del lavoro. Il cliente non è un soggetto giuridico da cui attingere come se si fosse una zecca, un parassita. Le aziende di servizio dovrebbero essere come dei simbionti, degli esseri che vivono dando e ricevendo reciproco vantaggio da altre aziende.

Il parassita uccide il proprio ospite, la simbiosi è ben altra cosa.

La parola “partner commerciale” la possiamo quindi tradurre come simbionte commerciale. 

Una azienda in crescita arriva ad un certo punto in cui necessita di affrontare una miriade di problematiche riguardanti la fiscalità, il rapporto con l’estero, la logistica interna, quella dei trasporti, l’etichettatura del prodotto e di qui una lista infinita di altre questioni che distolgono l’azienda in esame dal suo target: produrre.

La partnership è la gestione integrata di un processo da parte di due diversi soggetti, che agiscono come se appartenessero a un’unica entità. Una partnership si realizza, ad esempio, quando un attore dello scambio assorbe nel suo processo di lavoro un costo o un’attività dell’altro, oppure mette a disposizione conoscenze e modalità di lavoro poco accessibili all’altro, per aiutarlo a fare meglio il suo lavoro. Fa questo perché così ottiene un ritorno nel proprio processo di creazione del valore. Più valore per l’altro diventa più valore anche per sé.

La partnership è quanto di più lontano esiste da un semplice “rapporto di fiducia” o “collaborazione”.

La parola partner è stata ovviamente presa in campo lavorativo da un ambito più romantico che è quello del rapporto umano col proprio compagno/a nella vita.

Se proferissimo semplicemente la parola “partner” il 100% di noi penserebbe subito alla sua accezione primitiva, quella di “compagno”, “amante”, “convivente’’, una persona che ci aiuta e ci accompagna nel percorso quotidiano di vita.

Nessuno di voi ci trova una perfetta connotazione anche in campo lavorativo? E’ esattamente questa una partnership lavorativa, un modo che due aziende hanno di trovare strade comuni, progettare insieme, avere dei diritti e dei doveri; significa concentrarsi sui bisogni dell’uno e dell’altro, avere un progetto insieme a cui dedicarsi, una simbiosi.

Sfortunatamente si tende sempre a performare e paradossalmente ciò porta ad una degradazione di qualsiasi rapporto. Quindi in ambito umano si litiga per delle sciocchezze, in quello lavorativo si tende a trasformare il rapporto tra partner in una negoziazione continua, svilente e degradante.

Perché se un partner umano perde spunto nei confronti del suo pari, lo fa a causa della mancanza di attenzioni, della noia, della poca considerazione. Così come un partner giuridico viene portato a fare male il proprio lavoro o a guardare il compenso se uno dei due manca del rispetto dovuto o delle attenzioni verso l’altro.

 Nel mondo degli affari è davvero difficile mettere insieme regole, confini, diritti e doveri con aspetti di iniziativa e generosità. Il timore che azioni di apertura vengano scambiate per ingenuità e malamente utilizzate, sposta l’attenzione degli attori sulle regole, sui diritti e sui doveri e sugli aspetti “contrattualistici” della partnership. Una parte di libera iniziativa, di apertura e credito all’altro, fuori dalle regole, deve invece essere sempre presente nelle partnership. Perché diversamente, se tutto è regolato solo sulla base dello scambio, si rischia di passare il tempo a fare il «computo della reciprocità», che nel dettaglio significa: ogni azione che faccio con te deve corrispondere a un ritorno per me e viceversa. Dimenticando lo scopo iniziale della partnership creata.

Il problema è che l’apparenza è un cancro dei nostri giorni e questo porta le persone a descriversi per ciò che non sono e, di conseguenza, a descrivere un servizio che vogliono vendere per ciò che non è. 

La voglia di sopravvivere, e quindi di portare a casa un guadagno, vince spesso sulla morale e sul credere fortemente in ciò che si vende, trasformando la parola partnership in un mostro osceno che si traduce con “ho venduto i ghiaccioli al polo nord”.

Solo con una profonda conoscenza del proprio lavoro, una professionalità adamantina, una continua ricerca di migliorare il business al cliente, cercare semplificazioni e coinvolgendo il nostro partner si può sperare di avere dall’altra parte una risposta positiva che nel mondo degli affari significa un maggior valore economico. 

Si faccia in modo che un agente di servizi parta da se stesso e non aspetti prima il risultato economico per poi impegnarsi e professionalizzarsi, poiché questo è sterile. Se il valore apportato alla azienda partner è buono, se si è diventati una chiave importante per il nostro interlocutore, il compenso non è più un problema, l’azienda non cercherà qualcuno che faccia il lavoro a meno poiché il rischio di perdere tempo sarebbe troppo grande rispetto ad un eventuale risparmio.

Troppo spesso questa è la vita: non dare per paura di non ricevere dall’altra parte, non impegnarsi per paura che quell’impegno non sarà riconosciuto. Meno impegnativo e pericoloso portare poco a casa con ogni metodo disponibile piuttosto che investire tutti se stessi.

È così che si muore, dentro e fuori, negli affari e negli amori.


Lorenzo dott. Antonelli 

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